15 febbraio

non ho rinunciato all’idea di tenere questo diario, solo che i giorni precedenti sono stati un delirio di schifo e melma fisica e psicologica. non voglio più tornare a pensarci, anche perché oggi che è un altro giorno mi trascino dietro gli effetti del nervosismo in un mal di testa atroce che non passa neanche con la tachipirina. se non è un rimedio, digitare sarà almeno una distrazione. nel frattempo l’amico lontano mi tormenta con gesti virtuali che rifiuto di netto. non voglio la sua vicinanza. ho chiesto rimborso per i biglietti che ho comprato per andare da lui il prossimo fine settimana. non ho alcuna voglia di attraversare la penisola per ritrovarmi a fare sesso con uno sconosciuto. non è quello che volevo, non è quello che voglio.

13 febbraio

dolore dovunque, dolori in ogni dove. la puntura di adalimumab mi ha provocato dolori diffusi in tutto il corpo, come se fosse passato sotto uno schiacciasassi. e perdipiù devo lavorare tutto il giorno. questo sarà conosciuto dai posteri come il secolo dello schiavismo introiettato: si fa di tutto pur di tenere intatto il ciclo del superlavoro, anche a costo della salute, io per primo. ho accettato di fare straordinari, ed eccomi qui, otto ore dalle nove alle diciotto seduto davanti allo schermo di un computatore a scrivere lettere elettroniche a estranei alienati. non ci riesco. voglio solo sprofondare nel nulla. sono sei ore, ma sembrano sei giorni. odio tutto e tutti quando sto male. voglio solo scomparire.

sovrastrutture

sento solo dolore al collo, una tensione sbagliata che blocca i movimenti del busto e ogni informazione esterna. non mi interessa altro che il dolore che sento sotto la nuca e sulle spalle. il signore che ogni giorno digita sulla tastiera del computer della biblioteca parole a fiumi su un blog di google sta guardando un video sul culto della divinità femminile locale. forse sul suo blog scrive preghiere? una piccola parte di me prova un po’ di invidia: dev’essere confortante avere la certezza che qualche entità invisibile sia onnipotente e possa esaudire i tuoi desideri se la invochi insistentemente.

stasera dovrei andare a visitare una mia conoscenza che sta per partorire, e non ne ho alcuna voglia. non mi va di far finta di interessarmi al mondo fantastico del natalismo, alla prefigurazione della Madre Curatrice e a tutto quel brodo di sovrastrutture e ritualità di cui dovrò farmi carico. ma forse la chiave per rendere il tutto sopportabile è guardare le scene che mi si presenteranno davanti come uno spettacolo, come dei quadri viventi: presepi in carne e ossa, le cui incrostazioni polverose sembrano avere un effetto allergico solo su di me.

glittering hunger
matter ephemeral
off the known path

poni domande più vere

il viaggio a bruxelles lo faresti per te o per farti apprezzare da lui? se qualcosa va male non gli rinfaccerai i soldi spesi per andargli incontro? certo, se mi pongo domande così oneste la necessità di volare a bruxelles mi sembra scemare molto. così come non sento la necessità di sentirlo spesso. non era amore neanche stavolta, era solo infatuazione. la lezione di oggi è “non mentire a te stess”, come Dostoevsky aveva avvertito, e anche: mettiti di fronte a interrogativi che vanno oltre la superficie. chiedermi “sei contento di vederlo?” è fuorviante, perché la felicità di incontrare una persona diminuisce ben presto in ogni caso.

disperazione

sono talmente disperato che pur di ricevere qualche apprezzamento positivo non riesco a cancellare il profilo sull’immondizia di sito di incontri.

certo devo essere molto solo. la conoscenza con il nono maestro prosegue e a volte sento che gli voglio bene mentre a volte no. a volte vorrei abbracciarlo davvero mentre altre volte no.

riciclo

la mia vita sta diventando insignificante. mi sveglio, mi alzo, svuoto le viscere, faccio una magra colazione, mi vesto con abiti civili, prendo la macchina, prendo il treno, leggo, prendo l’autobus, leggo, faccio una seconda colazione più abbondante, entro in biblioteca, mi metto al computer a lavorare sul blog, leggo, pranzo, vado al luogo di lavoro salariato, prendo l’autobus, prendo il treno, prendo la macchina, ceno, evacuo di nuovo le viscere, mi metto il pigiama, mi addormento, ricomincio da capo.

qualche volta mi faccio la doccia e la barba. tutti i giorni mi metto davanti a uno schermo e navigo sull’intrarete.

citazioni da Capitalismo della sorveglianza

dal surplus comportamentale deriva plusvalore di codice

in un futuro del genere, siamo esiliati dai nostri stessi comportamenti, ci viene negato l’accesso o la possibilità di controllare la conoscenza ricavata dalle nostre esperienze.

nel futuro che il capitalismo della sorveglianza sta preparando per noi, la mia e le vostre volontà costituiscono una minaccia per il flusso di denaro che proviene dalla sorveglianza. Il suo scopo non è quello di distruggerci, ma semplicemente quello di scrivere la nostra storia per guadagnare soldi.

dimenticatevi il cliché secondo il quale “se qualcosa è gratis, il prodotto sei tu”: noi non siamo il prodotto, siamo le carcasse abbandonate. Il prodotto deriva dal surplus strappato alle nostre vite.

All’interno del capitalismo della sorveglianza la società di trasforma in sciame, mentre gli individui diventano meccanismi: questi sono i caratteri fondanti della società strumentalizzata, una società che non annulla affatto le divisioni di classe: “la vita nell’alveare produce nuove spaccature e forme di stratificazioni. Non si tratta più solo di regolare o subire le regole, ma anche di fare pressione o subirla”.

intimidazione

ho incontrato uno per farci sesso, ma non ci ho fatto sesso. abbiamo soltanto parlato per un’ora e mezza seduti sul divano, poi finalmente ci baciamo. ma per poco, perché neanche passati cinque minuti si volta all’improvviso e diventa rosso, tossisce, si agita. a me prende un colpo, penso sia una reazione allergica al dentifricio che ho usato, insomma è ovvio che sia colpa mia. infatti. rimaniamo per due minuti in silenzio, io immobile, lui si sfrega gli occhi, si tocca le tempie e dice che gli è salita l’emicrania, sai ci soffro parecchio. mi pare di sentire il rintocco di un’antifona. casualmente gli squilla il telefono, e corre a rispondere. si chiude in bagno e io mi ritrovo a fissare un quadro astratto. sono un ingenuo. avrei dovuto alzare i tacchi e uscire sedutastante. ma non lo faccio, perché spero per il meglio. sono un imbecille. ogni tanto fa capolino dal bagno e dice che è una situazione particolare. questo film l’ho già visto. mi alzo e mi metto la giacca, ma non me ne vado. spero con tutte le forze che non sia vero quello che penso. sembrava a suo agio mentre chiacchieravamo, perché ora dovrebbe volere che me ne vada? perché sono un idiota. quando riemerge dal bagno gli dico per la terza volta che non c’è problema, vado. capisco che vuole che me ne vada perché non dice nulla per trattenermi, neanche ci prova. buona serata, due bacetti sulle guance. in macchina mi escono un paio di lacrime, e mi intristisco. mi sembrava una persona interessante, con argomenti di conversazione interessanti. certo, ci sono stati momenti di silenzio imbarazzato, ma credevo fossero organici a un primo incontro. certo, ero intimorito. il suo appartamento aveva lo stesso odore di deodorante per ambienti che aleggiava nell’ufficio in cui feci il tirocinio tre anni fa. odiavo quell’ufficio e le persone che ci lavoravano. forse è quell’odore che mi ha intimidito, o forse il tono della sua voce. in effetti per la maggior parte del tempo ha parlato lui, io lo ascoltavo e intervenivo di tanto in tanto, come mio solito. ma non riuscivo ad avvicinarmi verso di lui. forse si è esasperato perché contava che facessi il primo passo? ora che ci ripenso mi ha detto che ho delle belle mani. forse questa è la frase codice per “voglio scopare” e io non l’ho colta? mi sento confuso. ma domani sarà passato, un altro episodio insignificante nell’odissea dei siti di incontri.

aggiornamento: gli ho mandato un messaggio chiedendogli esplicitamente se non gli fossi piaciuto o avessi fatto qualcosa di sbagliato. dopo ventiquattro ore non mi ha risposto. di questo sono contento perché posso guardare il rifiuto in faccia e rifiutarlo allo stesso modo. riconosco che fuggire è molto semplice. lo accetterò e passerò al prossimo che vorrà il mio amore.

musica e intestino

ogni volta che sono nervoso mi viene lo stimolo di evacuare. da sempre sono così. dopo aver riacquistato la funzionalità normale dell’intestino grazie all’intervento che mi ha tolto l’ileostomia mi sono accorto che la musica stimola tantissimo l’evacuazione. se sono appena nervoso e mi trovo lontano da un bagno non devo ascoltare musica, altrimenti c’è il rischio che me la faccia addosso. ho rischiato spesso di oltrepassare questo limite nell’ultimo anno – ho pur sempre un intestino fragilissimo e più corto della norma; se poi per un errore madornale ascolto musica indossando cuffiette l’effetto stimolante è immediato. trovo affascinante questa correlazione tra vibrazioni musicali e motilità intestinale; soprattutto mi affascina il fatto che l’intestino pur essendo semplice organo materiale mi riserva spesso sorprese, alcune belle alcune brutte. completo questo pezzo in biblioteca ma l’ho scritto mentre aspettavo in macchina di entrare a casa di uno sconosciuto per un appuntamento sessuale, che andò male.