Tarik 2023

l’anno che vorrei scrivere non prende in considerazione il calendario cristiano, ma quello rivoluzionario francese. questo è l’anno 231 dopo la Rivoluzione.

torno su questo spazio dopo tre anni *emoji faccia stupefatta* ed numerose esperienze.

sono in salute da quando non lavoro più tutti i giorni per ore e ore al giorno.
toh, che groundbreaking scoperta: il capitalismo fa male all’anima!

finalmente hanno deciso che è necessario vendere il casolare tanto bistrattato dalle intemperie nella Valle se non vogliamo essere sommerse di tasse.
chissà se ci riusciremo entro l’anno.

ho cominciato da novembre a prendere in mano i Tarocchi; finora maneggio tre mazzi adorabili.

l’ottavo compleanno del dolce nipote mi rende evidente quanto i giorni siano lunghi come istanti per noi formiche di terra.

pensavo che questo blog fosse vuoto… e invece ci ritrovo memorie care e piacevoli degli anni passati.
volevo farcire questo blog della novella che sto scrivendo… e invece creerò un altro blog, dedicato solo alla scrittura.

se scrivo qui lo faccio per le mie posteri: Tarik, Tami, Claudia e Angy, se lo vorranno. troverete queste memorie fresche di digitazione.

how to stay silent so others can stay comfortable

e se invece fingere il sentimento amoroso (che non ho mai visto se non per allucinazione) non fosse molto diverso dal fingere di divertirsi a una festa? non mi divertivo quasi mai alle feste, ma dovevo farlo per salvaguardare la faccia altrui, per mettere gli altri a loro agio, per non far loro pensare che anche solo una persona non fosse grata di partecipare a quell’evento. è una delle prime regole del manuale per giovani introversi: fingere di stare a proprio agio così che gli altri possano stare a loro agio. potrei fingere benissimo, da dietro uno schermo si è capaci di tutto.

questa è la storia di uno come me, il quale non aveva molti amici, e per noia, per scommessa, per generale sdegno verso l’umanità intera decise di innamorarsi per gioco; ma rimase un gioco proprio fino alla fine, non come si vede nelle pellicole quando alla fine A si innamora per davvero di B con una rivelazione che ci aspettavamo da quando il regista inizia a concentrarsi insistentemente sulle interazioni tra i due. nessun gioco poteva durare in eterno con uno come me, e infatti quando mi stufai di giocare sparii completamente come materia in un buco nero. avevo conosciuto M come era consuetudine allora nella comunità – che di comunità aveva solo la generica caratteristica di assemblaggio casuale nel periodo della bella stagione. invece degli sguardi avevamo codici di accesso, e invece di sospiri nient’altro che immagini con messaggi. questo era rimasto tra noi, ed eravamo completamente soli. niente altro che una casella quadrata in cui rigirarsi e contorcersi, fino a smarrire il senso del perché ci eravamo rinchiusi lì dentro. a stare dentro caselle, spazi di significato e quindi di esistenza stretti come uno schermo di raziofono o si impazzisce o si diventa della stessa forma e della stessa sostanza della casella. quindi eccoci qui, a guardare immagini che solleticano la vista ma non l’intelletto, ed è anche così che mi innamorai della materia oscura di un B qualunque. tanto valeva trovarselo economicamente agiato perché una forma di materialismo era sempre benvista dalla società in cui vivevo. ci frequentammo, ci piacemmo e iniziammo a convivere, a casa sua nella periferia est della città.

dearest

questa è più che una lettera; è un esperimento. il voi è l’unica persona che rende una persona allo stesso tempo familiare e lontana, proprio come un ricordo; quindi è così che mi rivolgerò, per parlarvi attraverso lo schermo dei ricordi. i messaggi non sono il mezzo ideale per gli amanti perché arrivano davanti agli occhi come fulmini, e bruciano i significati delle parole di cui hanno bisogno per nutrire le speranze. le lettere invece sono più discrete e richiedono più tempo perché ivi i discorsi sono più ampi e si spera meno soggetti all’effimero. per questi motivi vi sto scrivendo questo esperimento di elettera… per ridurre la distanza che inevitabilmente si è aperta tra noi. sono trascorsi molti momenti da quei giorni in cui si ruppe qualunque cosa eravamo, e da allora molte cose sono cambiate, sono rimaste e si sono perse. è la vita, dicono, e dobbiamo abitarla.

uno strumento

ancora una volta il destino di uno strumento appeso alla decisione di forze più grandi di lui. le vane speranze che aveva ragione di nutrire sono state distrutte da una piccola frase musicale che ha scaricato il barile in faccia all’armatore. poiché non era amicodi, né figliodi, né parentedi, né amantedi nessuno si accollava la briga di valutare positivamente il suo contributo, benché certo minuscolo rispetto ai grandi fiati o percussioni. poiché produceva musica appena percepibile alle alte temperature doveva addirittura ringraziare che qualcuno tempo fa avesse posato lo sguardo per un attimo sulla sua imboccatura.

la fermata

mi sono avvicinato alla fermata dell’autobus, era mezzodì e l’aria non pizzicava più della nebbia del mattino. una donna dal vestito a fiori, che sembrava la gemella di zia Virginia, si è avvicinata per chiedermi se quella fosse la direzione giusta. non credo di essermi emozionato subito, ma poco a poco. Le risposi di sì e non pensai più di tanto alla sua figura alta e sottile, dato che era così familiare… mi emozionava stare lì davanti alla sua incarnazione in carne ed ossa, e come per un desiderio telepatico inespresso sull’autobus si sedette vicino a me (mi domandai se l’avrebbe fatto se non avessi indossato la camicia) e mentre si toglieva la mantella di lana – era proprio freddo – l’autobus fece una frenata brusca e per poco lei non cadde sul sedile opposto al mio. ripresasi dallo sbandamento mi lanciò un’occhiata a metà tra divertito e spaventato come per dire "c’è mancato poco". guardava con insistenza il telefono e dal nulla mi chiese "sai quante fermate per via romania? devo andare alla scuola L". purtroppo non sapevo dove fosse, quindi le ho consigliato stupidamente di usare un’applicazione. un ragazzo seduto sul lato opposto le suggerì che da dove era salita contavano più o meno 12 fermate, quindi sarebbe dovuta arrivare quasi al capolinea. si fecero entrambi una risatina di sottecchi e lo scambio finì lì. quando accennò che la sua meta era l’università L. ebbi un colpo: ero appena uscito dalla libreria, ed ero colmo dell’emozione dei riassunti delle quarte di copertina che avevo preso e rilasciato, come ubriaco: quella donna era proprio Virginia Stephen che prendeva l’autobus per andare a tenere una conferenza sulle donne e la letteratura, e di lì a un paio d’anni l’umanità avrebbe beneficiato della sua opera grazie a A room of one’s own.

mano

what to write around hands?

  • Look at yours. What have they accomplished? What do you hope they’ll do next?
    • le mie mani mi danno tutti i giorni sollievo prostatico e piacere genitale; mi procurano orgasmi autonomi di un’intensità che sento crescere mese dopo mese. costruisco scene a occhi chiusi e le mani le mettono in pratica con una leggera frizione continuativa.
  • Tell us about a time someone lent you a hand, or a time you were a helping hand for someone else
    • mia madre e le mie sorelle mi danno sempre una mano, nei modi in cui possono. mi hanno sostenuto sia fisicamente che spiritualmente durante l’ultima degenza in ospedale.
  • Create a post with your hands: share a sketch, or a photo of handwritten text.
  • Is there something you’ve always wanted to try your hand out? What holds you back? Tell us about it.
    • vorrei essere in grado di poter scrivere con la penna anche con la mano destra senza creare scarabocchi